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Michele Tiberio – ” (…) Forse il sussurro nacque prima delle labbra”

A cura di Agata Polizzi

“La vita, il mondo, io siamo delle situazioni di energia.
Il punto è di non risolvere tali situazioni cristallizzandole,
bensì di mantenerle aperte, vive,
in funzione e in coincidenza del nostro vivere”.
Giovanni Anselmo

L’osservazione dei processi che generano i mutamenti naturali, così come l’osservazione di ciò accade nei fatti umani attraverso i gesti quotidiani, sono alla base della ricerca di Michele Tiberio, una documentazione la sua, che ha a che fare con l’intimità e il silenzio, con il dubbio prima della certezza, con l’attesa che diventa esperienza del tempo e del mondo.
Una formazione rigorosa e a tratti scientifica, mista ad una visione intima e consapevole dell’identità culturale da cui proviene, rendono il lavoro di Michele Tiberio estremamente preciso e significativo. Perché se è manifesta la sua matrice poverista, in cui il tratto e la fisicità marcano uno strettissimo legame con la natura e i suoi elementi morfologici come oggetto dell’artificio insieme ad una processualità ancorata al tempo e allo spazio, dall’altro è altrettanto chiara, la volontà di sperimentare la contemporaneità attraverso una visione totalizzante del proprio vissuto.

La scultura è il medium di rappresentazione più efficace per Tiberio, gli consente di elaborare una narrazione, la fisicità della materia, l’alternanza tra elementi eterogenei modulati nella sintonia del diverso, in un equilibrio che si mantiene rarefatto e in bilico, che non cerca la perfezione.
L’esito finale è dato dal non controllo del processo, controllo che volutamente sfugge all’artista, il quale si lascia volentieri sopraffare, come farebbe un innamorato con il suo amante. Consapevole di essere in balia ma anche di non volere porre limite alcuno al corso delle cose.
Il processo “prima di tutto” è ciò che conta, l’imponderabile bellezza del rischio, la libertà di lasciarsi sedurre dal caso, restando comunque vigile, in regime di sregolato autocontrollo.

Questi elementi sono costanti nel lavoro di Michele Tiberio, alimentati anche da una fragilità nella persona, schiva e introversa, come nell’opera, producono insieme un’evidente forza espressiva, costruiscono l’armatura concettuale e strutturale del linguaggio artistico.
Fragilità che non è incertezza ma è piuttosto sperimentazione della vita, punto di vista di chi ne accetta i compromessi lasciandosi attraversare come uomo e artista, alla soglia della propria maturità. Tiberio attinge certo all’esperienza personale prima che collettiva per trovarne i significati, ed è in questo senso che si annullano le distanze o i rimandi con i modelli del passato, nella misura nuova, nella considerazione di un tempo fuori il quale, c’è sempre qualcosa di incessantemente diverso.

In “(…) forse il sussurro nacque prima delle labbra” dentro ogni opera c’è la memoria e c’è la casualità, Tiberio ne fa largo uso e utilizza materiali naturali e sintetici, suoi personali ricordi, “oggetti” come una stratificazione di contenuti.
Tracce anche sporche, prive di imbelletti, autentiche. In cui vengono fuori in “dissolvenza” la ricerca, la fatica, il pensiero.
Nascono così le sculture in cemento con innesti di ferro, le opere in gesso e rame, le sottili lastre di PET, opere generate da processi di selezione e “messa a dimora” di materiali che al di là della loro natura precisa, hanno anche un valore simbolico o mnemonico.
Nel rapporto con la materia l’artista libera il suo mondo interiore caricandolo di una complessità strutturale pari alla densità con cui procede la sua memoria personale.
Il titolo stesso del progetto, citazione dalle ottave della raccolta Quasi leggera morte di Osip Mandel’ štam (Adelphi), è il dettaglio di una stratificazione che prescinde da ogni legame prestabilito, è fluire d’idee e sensazioni, emozioni, scelta che abbraccia un tempo ampio, circolare, che spiega molto bene il procedere per andare “dovunque e in nessun luogo”, compiendo tessiture che organizzano il pensiero e lo mantengono vivo.

“(…) forse il sussurro nacque prima delle labbra”, è in questo senso la sintesi di un percorso durante il quale Michele Tiberio ha osservato con rispetto e attesa, in cui ha ascoltato sé stesso in rapporto al contesto, indagando in entrambi i casi processi di conoscenza che gradualmente hanno prodotto il linguaggio più compiuto per rappresentare le sue istanze. Michele Tiberio si mette così in discussione, pone lo sguardo al passato come condizione imprescindibile per intrepretare il tempo presente, in un tempo che va altrove, si fa energia, azione, affascinato dalla contraddittoria sfida all’ordine naturale.