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Party with us

Party with us
Ten years after

a cura di Valentina Bruschi
27/09/13 – 15/12/13

Il 19 giugno 2003, quando l’arte contemporanea a Palermo era carica di aspettative e il suo centro storico aspirava, malgrado macerie e abbandono, a una vivibilità diversa, in una calda sera di primavera, i seicenteschi saloni dell’ultimo piano di Palazzo Gravina di Rammacca, in piazza Garraffello, cuore della Vucciria, si aprivano all’arte. Il pubblico, numeroso, su per l’antica scala elicoidale, illuminata dalla luce di numerose candele, affollava l’inaugurazione della prima mostra della neonata galleria Francesco Pantaleone Arte Contemporanea.
Esordiva la galleria con una doppia personale di Marco Cingolani e Alessandro Bazan, pittori nati negli anni Sessanta, uno di base a Milano e l’altro a Palermo – con lo studio al piano di sotto della galleria – amici ed entrambi docenti all’Accademia di Belle Arti della città.
Il loro percorso artistico, diverso, ma sempre dichiaratamente incentrato sul linguaggio pittorico, li aveva portati a una singolare affinità, messa a confronto nella mostra.
A quella prima esposizione risale la tela “Amici al Garraffello. L’incendio di cuori”, di Marco Cingolani, opera di notevoli dimensioni, in cui è il colore rosso a costruire le forme, attraverso sfumature e sovrapposizioni. La pittura, fluida, diviene ammaliante e le forme e i colori intramano i filamenti di un evento.
E’ proprio a partire da questa opera che la mostra di oggi può comporre il ritratto della galleria – ricorrendo il suo primo decennale – alla maniera di un mosaico le cui tessere sono le numerose mostre di vari artisti che, in quelle occasioni, stabilivano un forte legame con la nostra città, con le sue storie e i suoi contrasti.
Decisivi nella fase iniziale delle attività della galleria, Marco Cingolani e Alessandro Bazan sostenevano con convinzione le scelte di Francesco Pantaleone e della sua socia di allora, Pamela Erbetta, anglo-piemontese, palermitana d’elezione.
Dalla Gagosian di New York, centro fra i più importanti del mercato dell’arte contemporanea mondiale, Francesco era rientrato a Palermo nel 2000, con il sogno concreto di fare della Vucciria (il mercato palermitano – e perciò arabo – di guttusiano pennello) il punto di partenza di una doppia sfida: vincere il cupio dissolvi che, in barba a qualsiasi esperienza internazionale, ogni buon siciliano porta in sé, puntando sull’arte dei giovani; creare entro lo spazio e il vociare multicolore di un mercato di derrate – purtroppo già allora avviato al declino – un mercato di arte le cui originali mercanzie, a partire da un’antica capitale, raggiungessero il mondo.
Il singolare, metonimico, Palazzo Rammacca alla Vucciria, già luogo deputato dell’avanguardia artistica siciliana negli anni Novanta, sarebbe stato la parte non secondaria di quel tutto che sarebbe, nel futuro della città, stato reso possibile dall’impegno dei galleristi e dalle opere degli artisti.
La FPAC avvia nel 2005 la collaborazione con Laura Barreca curatrice della prima personale di Manfredi Beninati (Palermo, 1970) il quale, nella seconda, presenta un lavoro site-specific: “il 6 di agosto del 1975…” che evoca memorie di un tempo passato, uno spazio evanescente dal sapore crepuscolare. Una realtà illusiva e allusiva, sfumata come in un sogno che svanisce al risveglio. Una grande installazione ambientale con un effetto scenografico, non fruibile oggi dal visitatore se non attraverso una riproduzione fotografica montata su light box.
Nel 2006, Italo Zuffi (Imola, 1969) riflette sul tema dell’arte come azione e presa di coscienza esperienziale nel gruppo di quattro testi, composti dall’artista nel 1999 e risolti ‘graficamente’ a Palermo per la sua personale. Lo stesso anno, Loredana Longo(Catania, 1967) fa esplodere – con una carica di polvere da sparo – sotto il soffitto decorato del primo salone della galleria, una ricchissima tavola imbandita di dolci di ogni genere. Questa performance, “Explosions # 8 Sweets”, segna l’inizio della collaborazione di Loredana con la galleria, che quest’anno espone l’ultima serie di suoi lavori, “Carpet”, nei quali frasi prese dai media, estrapolate dai discorsi dei potenti della terra e impresse a fuoco su tappeti, colpiscono, provocano e stralunano lo sguardo. Due lavori della serie “Carpet” – dopo essere stati esposti allo spazio off della FPAC di Milano, chiamato Bad New Buisness e curato in collaborazione con Agata Polizzi – sono presentati a Palermo per la prima volta, insieme ad un tappeto realizzato apposta per l’occasione.
Gli artisti le residenze la città: Domani, a Palermo (2007).
Nel giro di pochi anni la galleria palermitana diventa un luogo d’incontro e di coagulo della creatività locale e di quella dell’arte contemporanea internazionale.
Attraverso mostre, fiere e non poche difficoltà, la galleria si fa promotrice di importanti e originali progetti di collaborazione, come quello con Aleksandra Mir (Lubin, Polonia, 1967) che, nel 2007, ha curato la seconda personale del collettivo palermitano Laboratorio Saccardi, “Donna/Woman”, dove la loro tipica bad-painting dissacrava icone e tematiche del mondo femminile. In mostra, la loro ironia tagliente ruota intorno al mondo dell’arte e ai suoi miti, da Picasso a De Dominicis.
Aleksandra Mir, presente a Palermo dal 2005, è stata un’entusiasta sostenitrice della galleria, cui ha donato, nel 2010, la propria raccolta di libri di arte contemporanea che oggi costituisce nucleo significativo della biblioteca aperta al pubblico nella nuova sede.
Frutto della collaborazione tra Aleksandra, la galleria e la città, è l’opera “Il Sogno e la Promessa”, oggi esposta in mostra, nella quale la singolare e peculiare sensibilità antropologica della Mir approda, in collages, ad uno spazio simbiotico nel quale immagini sacre, ispirate agli oggetti sacri esposti in vetrina da Pantaleone Arte Sacra – negozio del Cassaro, attiguo alla galleria – e profane immagini di razzi e astronauti, pubblicate da riviste americane degli anni Settanta, condividono “lo stesso cielo”.
Originale punto di forza della galleria diventano le residenze d’artista: dal 2007 Francesco Pantaleone crea infatti, con Laura Barreca, il progetto “Domani, a Palermo”, che mette a fuoco la grande potenzialità di una città capace di rapire. Con un riferimento libero al titolo del film di Ciprì e Maresco “Enzo, domani a Palermo”, l’idea del progetto era quella di evocare uno sguardo propositivo e diverso sul futuro, attraverso le suggestioni colte dagli artisti in residenza, in una cttà dove tutto parla sempre del passato.
L’empatia con la quale Palermo riesce a entrare in contatto con gli artisti si evidenzia con l’esperienza di Stefania Galegati Shines (Bagnacavallo, 1973), protagonista della prima residenza della serie “Domani, a Palermo #1”. Dopo la mostra, Stefania si è trasferita a Palermo scegliendo di vivervi e costruirvi la propria famiglia. Lo stesso anno, Marcello Maloberti cattura l’energia spontanea di piazza Garraffello, nella performance “Circus”, qui presentata in video.
Va sottolineato come la episodicità, la poca sistematicità e la fragilità delle iniziative istituzionali e non, proprie della nostra Città, non abbiano riguardato il progetto“Domani, a Palermo” che, con continuità è riuscito a realizzare residenze d’artista, produzioni, mostre e a presentare, negli anni, artisti quali: Per Barclay, Flavio Favelli, Christian Frosi, Adrian Hermanides, John Kleckner, Andrew Mania, Liliana Moro, Milena Muzquiz, Francesco Simeti, Sissi, Gian Domenico Sozzi, Joanne Robertson e, recentemente Julieta Aranda.
Così l’attività della galleria non conosce soste e nel 2007, accoglie come socio Francesco Giordano – fisico e già partecipe sin dall’inizio della vita della galleria – che porta dentro uno “sguardo esterno”, mentre accresce la fitta rete di rapporti con gli artisti che nella città vivono e dalla città e dalle sue memorie traggono spunti e ispirazioni.
Un mondo di oggetti dismessi, prima fiaccati e poi rinnegati – contaminati forse? – dai quali l’uomo sembra essersi allontanato in tutta fretta, prima, poco prima del nulla determinato dalla sua persistente cieca invadenza. È il mondo espresso in “Pisa”(2009), tela di Andrea Di Marco (Palermo, 1970 – 2012).
Lo sguardo consapevole degli effetti dell’azione umana sul paesaggio sono al centro della ricerca di Francesco Simeti (Palermo, 1968) che ha realizzato “Fayetteville”(2013), opera scultorea che riprende i celebri teatrini rococò del Serpotta, elaborando un’immagine drammatica di cronaca dal New York Times del tornado che ha spazzato via tutta la facciata di una casa del North Carolina nel 2011. I diversi linguaggi utilizzati da Simeti, dalla scultura alla fotografia qui sono sovrapposti nell’ultimo wallpaper realizzato dall’artista, “Gigli, gladioli, briganti ed emigranti” (2013), già parte della collezione della Galleria d’Arte Moderna di Palermo. Paesaggi naturalistici di Francesco Lo Jacono e antiche fotografie di famiglie di migranti dei primi del Novecento concorrono alla rappresentazione delle contraddizioni della belle époque palermitana mentre gli elementi decorativi in stile Liberty, rielaborati dall’artista, vengono arricchiti – nell’installazione site-specific realizzata per la nuova galleria FPAC – dall’applicazione di motivi tridimensionali di nuvole stilizzate in gesso.
L’indifferenza dell’uomo su quanto gli accade intorno è quella nella quale irrompono le opere di Adalberto Abbate (Palermo, 1975), scuotendo l’incoscienza e risvegliando l’attenzione sull’attualità, come in “Dies Irae” – della serie “Rivolta” – sampietrino inciso prima del deflagrare della primavera araba, alla quale fa diretto riferimento e“Ritratto di massa”, dove l’artista ha rimaneggiato una pubblicità d’epoca, rivelando l’ambiguità inquietante del nostro passato, “tutto da rifare”.
Liliana Moro (Milano, 1961), artista italiana tra le più conosciute sulla scena internazionale, che nel 2008 aveva presentato a Palermo “Canile”, sul tema classico della cultura figurativa – emerso già in “Underdog” (2005) – del cane e dei conflitti del mondo animale come metafore dei conflitti umani che si risolvono in sopraffazione e morte, ora indelebilmente tatuati sulla pelle delle braccia di Francesco Pantaleone.
Flavio Favelli (Firenze, 1967) che dopo la prima personale del 2007, ha ampliato la costruzione di un universo siciliano attraverso un corpus di opere raffiguranti oggetti di uso comune manipolati e variamente assemblati in cui l’artista approfondisce l’indagine sui legami tra luoghi, cose e memoria, utilizzando frammenti di mobili, mappe, copertine di riviste e insegne.
Sissi (Bologna, 1977), che come un antico viaggiatore annota e descrive sul diario luoghi, oggetti, persone, attraverso scatti minutamente fotografati, schedati, numerati e riposti nel proprio archivio, dal quale riemergono trasfigurati. Del vissuto come lavoro fanno parte la serie dei pranzi-opere, installazioni da mangiare fissate nelle fotografie, come “Cena appesa” (2010).
Gian Domenico Sozzi (Cremona, 1960) che, nella fotografia “Red carpet”, riprende l’intervento radicale realizzato per la galleria nella personale del 2010, ancora una volta modifica lo spazio con un intervento singolo, ma decisivo, togliere la ringhiera al balcone della galleria, gesto che cambia la percezione del luogo. Via di fuga? Invito al salto nel vuoto? Eliminando la protezione ci espone allo stesso ineludibile memento mori, del celebre affresco quattrocentesco,“Il Trionfo della morte”.
Per Barclay (Oslo, Norvegia, 1955), che dal 1989 sperimenta le sue “oil rooms”,allagando con acqua, olii industriali e altri liquidi i pavimenti degli spazi in cui interviene. Nella fotografia in mostra, scattata nel 2010 a Palazzo Costantino ai Quattro Canti, Per Barclay fissa lo sdoppiamento dello spazio ottenuto coprendo il pavimento con olio scuro che diviene specchio del soffitto soprastante affrescato con il “Trionfo di Costantino” di Giuseppe Velasco, della fine del Settecento.
Dieci anni dopo: la nuova galleria ai Quattro Canti e il futuro.
E’ proprio per ribadire l’intreccio con il luogo d’origine delle opere quanto per rinnovare il rapporto tra artisti e città che la galleria, in occasione di questo primo decennale, si apre allo spazio urbano allestendo una selezione di opere nelle vetrine di alcuni negozi dei Quattro Canti, lungo i bracci del Cassaro e di via Maqueda.
Si vuole che la vetrina spazio-limite, confine tra l’esterno e l’interno, diaframma tra paesaggio pubblico e spazio privato, si trasformi in finestra sulle opere esposte, offrendole all’attenzione dei passanti.
Oltre la vetrina, l’arte si rende visibile – vivibile? – e si propone, con l’immediatezza propria degli oggetti di uso comune.
Così il “vulcanello” di Julieta Aranda (Città del Messico, Messico, 1975) emerge tra gli affollati scaffali densi di sigarette nell’antica tabaccheria dei Quattro Canti; “Il collezionista di cravatte”, di Alessandro Bazan, realizzato appositamente per le vetrine di Barbisio è il compagno ideale di “Katia e le sue scarpe”, dipinta dallo stesso artista nel 2004; le fotografie di Christian Frosi (Milano, 1973), flâneur per Palermo con la sua enigmatica forma “C”, accolgono i visitatori dell’Hotel Quinto Canto; accanto ai vestiti della Sartoria Maqueda, le donne costruite con una materia densa di pittura da Joanne Robertson (Manchester, 1979) – opere dall’apparenza figurative ma dove l’immagine sfugge, aprendo il discorso sulla relazione tra la donna, l’anonimato e il potere; per il Bar Ruvolo, Stefania Galegati Shines, presenta una nuova installazione della serie dei“Bunker” (2004-2006), architetture residuali della seconda guerra mondiale, dove la scelta del formato cartolina di disegni e tele rimanda direttamente ad un turismo inconsueto e inconsapevole.
L’attenzione per i mass media si fa intimista nei disegni a matita di Benny Chirco (Marsala, 1980), influenzati come sono dal cinema e dalla letteratura americana, ed esposti tra le cravatte dello storico negozio da uomo, Pustorino. I ritratti esposti, presentati in “Gentleman” (2008), rimandano alle fotografie scattate dall’artista ai membri di una squadra di football americano di Palermo.
Infine, l’atrio al piano terra di Palazzo Di Napoli trasformato in project-room è il contesto di “Ciò che è in basso è come ciò che è in alto e ciò che è in alto è come ciò che è in basso”, installazione site-specific di Ignazio Mortellaro (Palermo, 1978), che espone in galleria per la prima volta. La ricerca artistica di Mortellaro, incentrata sul rapporto uomo/natura dispone di uno sguardo capace di indagare il mondo fisico e le sue leggi e di riproporlo, quasi trascriverlo, in un linguaggio ispirato che rende il cosmo e le sue forme celesti, riconducibili alla umana esperienza.
“Party with us”, neon text work di Lovett/Codagnone (John Lovett, Princetone, USA, 1962. Alessandro Codagnone, Milano, 1967) con un montaggio del rumore di una folla ad un concerto degli Smiths, è l’opera che si lega alla personale appena conclusa in galleria e dà il titolo alla mostra, con l’intento di festeggiare il primo decennale di attività della FPAC, luogo d’incontro e di scambio tra l’arte internazionale e la scena locale, spazio di cui la città ha – oggi più che mai – assoluta necessità.