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Per Barclay – Bianco Palermo

1 Ottobre – 26 Novembre 2016

a cura di Agata Polizzi

Ci sono due elementi intorno ai quali ruota l’intero significato del nuovo progetto di Per Barclay :“Bianco” e “Palermo”.
Sono trascorsi sei anni da quando, nel dicembre del 2010, Barclay interviene su Palazzo Costantino con la sua prima “oil room” siciliana, questo lasso di tempo, per quanto non lungo, è sufficiente a creare un nuovo desiderio, rappresenta per l’artista norvegese il canale per trasferire su questo territorio, per lui così importante, la necessità di trovare nuove possibilità espressive. Un periodo in cui egli ha sempre tenuto lo sguardo e la mente impegnati a costruire una narrazione possibile che mettesse in discussione, ancora una volta, la sua idea di realtà.

Nella narrazione “Palermo” è sempre stata fissa e centrata nell’interesse dell’artista, che considera questa città potente nella sua contraddizione, così differente da qualsiasi modello precostituito. Una città che è attrattiva, viscerale e al contempo complessa. Una città che implica uno sforzo di adattamento notevole e che molto spesso attiva il processo barocco della seduzione. In contrapposizione a questo c’è “Bianco”, segno neutro per definizione, più in sintonia con la formazione culturale decisamente rigorosa, pacata, mai urlata di Barclay.
Il dialogo ininterrotto con il territorio passa proprio per questa alternanza, risolta attraverso un terzo elemento, capace di armonizzare gli altri due, e cioè la meraviglia.

Il luogo deputato per accogliere la narrazione di Barclay, frutto di non poca ricerca e qualche fortunata coincidenza, è l’oratorio di Santa Caterina d’Alessandria, nel cuore della città vecchia. La fabbrica ha un impianto originario del XVI sec. con successivi interventi sia in facciata che negli interni risalenti sino al tardo Settecento, tra i quali gli stucchi in gesso e polvere di marmo di Procopio Serpotta – figlio del più famoso Giacomo – e le numerose scene dipinte sulla vita della santa, ad opera di illustri maestri locali.

Anche l’agiografia di Caterina rivela straordinarie coincidenze, Lei vissuta nel tardo 200 d.C., fu martire cristiana per volontà dell’imperatore Massenzio, ma all’atto della decapitazione dal suo collo sgorgò latte e non sangue, a riprova della sua santità. Questo particolare ha contribuito a scatenare un’immediata suggestione, rafforzando l’intenzione di utilizzare un liquido così etereo e, in questo caso, certamente molto evocativo.

L’intero progetto “Bianco Palermo”, in mostra alla galleria Francesco Pantaleone, diventa sintesi perfetta di uno straniamento (così come inteso da Viktor Sklovskij) ovvero trasposizione di una percezione abituale in qualcosa di straordinario, nuovo e inaspettato in cui la meraviglia opera un senso di stupore pari all’emozione di vedere, per la prima volta, ciò che si è fortemente desiderato. Una sensazione molto simile all’innamoramento.

Per Barclay inonda di latte l’unica navata dell’oratorio di Santa Caterina, rendendola una distesa di bianco traslucido che assorbe e riflette luce e ombra, lì si specchiano gli stucchi anch’essi candidi, immersi nella proiezione sensuale di membra, volti, oggetti sacri e panneggi, impreziositi dal riverbero dei marmi e dal velo mistico delle pitture della volta.
Lo straniamento è compiuto: non si ha più l’idea del dove e del quando, si percepisce solo la purezza, sommata alla bellezza dell’architettura e alla perfezione estetica ottenuta dall’artista.

Fissare mediante lo scatto questa manipolazione ardita e coraggiosa, certamente visionaria, è un ulteriore scarto rispetto al tempo e allo spazio, un atto capace di identificare qualcosa che non c’è, eppure si vede. Patria in cui ogni dettaglio abita nel riflesso di sé e diventa “altro”.

Quella attuata da Barclay è una riscrittura che nasce dalla sensibilità di saper trasferire sulla realtà uno sguardo limpido e raffinato che svela, attraverso l’immagine, visioni parallele e differenti con un candore disarmante. Il luogo, seppur vero e tangibile, diventa così luogo fantastico nel quale il contesto “Palermo” e l’oggetto “Bianco” si fondono per dare vita ad una prospettiva inusuale che prelude all’estasi.