testo di Anna Daneri
Carte Meridiane presenta una selezione inedita di opere realizzate da Stefano Arienti nel 2018. Sono 22 e fanno parte di un corpus di lavori iniziato nel 2012 ed esposto per la prima volta al museo di Villa Croce di Genova nella mostra Stefano Arienti, Finestre Meridiane. Intersezioni con la collezione di Villa Croce dedicata all’artista nel 2017, voluta da Ilaria Bonacossa e da me curata insieme a Francesca Serrati. In quell’occasione un’ottantina di opere entravano in dialogo con una selezione di opere della collezione del museo, in stretta relazione con l’architettura della villa neoclassica, contraddistinta da interni bianchi e luminosi e dal passaggio di luce diretta attraverso l’infilata di finestre che affacciano sul mare e sul verde circostanti.
Le Meridiane nascono di fatto grazie alla luce e, come gli orologi solari, ne segnano le variazioni, trasposte da Arienti su fogli di carta da pacco bianca o avana della stessa dimensione attraverso l’uso di pastelli a olio o cera, e più recentemente di pennarelli.
Le carte sono percorse da tratti colorati, che scandiscono il passaggio della luce dalla finestra di casa o dello studio, registrato dall’artista che, come una macchina fotografica, imprime sulla carta le traiettorie del sole, interrotte in corrispondenza degli ostacoli che si interpongono. I segni sono fitti, creano composizioni articolate e come molte ricerche dell’astrattismo storico hanno una radice nella relazione con la natura. E con l’architettura. Si distinguono infatti per i tratti lineari, prodotti dal passaggio della luce dalla finestra di casa e per quelli a riquadri sovrapposti, fino a formare quasi dei rendering in 3D, realizzati alla finestra dello studio, con infissi a inglesina.
Con le Meridiane l’artista attua un processo generativo dell’immagine che ricorda le carte piegate e la serie delle Turbine degli esordi, attraverso un segno minimo che crea vibrazioni inaspettate. L’indagine sulla natura stessa delle immagini che caratterizza il lavoro di Arienti è qui portata alla sua matrice luminosa e parte dalla volontà di farsi condurre dalla luce. Disegnare con la luce, con la piega, con il cucito, con la foratura, con la plastilina: sono diversi i lavori che portano ad analizzare il farsi dell’opera attraverso una manualità quasi artigianale, non mirata all’espressione ma da cui l’espressione filtra, inevitabilmente. Nelle Meridiane essa è trasmessa dai colori dei pastelli che l’artista tiene sul tavolo e che sceglie in base al ritmo compositivo dettato dal sole. E’ un lavoro performativo, in cui il gesto di traduzione della luce in colore non ammette errori, cancellature. Il segno è veloce quanto il passare del tempo, i disegni che ne derivano distillano l’azione nel tratto.
Una pratica nata come dichiara Arienti per “ammazzare il tempo”, durante un corso di pittura tenuto nel 2012 allo IUAV, che ha visto dapprima la realizzazione di composizioni su carta con pattern geometrici o floreali creati con colle, colori, stampi, spugnature, spatole e che ha comportato la produzione di una serie di carte esposte prima a Venezia a Palazzetto Tito della Fondazione Bevilacqua La Masa (2012), poi a Lugano da Primo Piano (2015), allo spazio Mars a Milano (2017) e nella mostra attualmente in corso a Sant’Eustorgio a Milano. Le stesse carte sono diventate nel corso degli anni anche “fondi” per le Meridiane, nate non solo da superfici intonse ma anche dalla relazione con stratificazioni cromatiche preesistenti, creando una forte densità materica in cui coesistono pittura e disegno. Arienti sembra voler entrare in punta di piedi in ambiti da cui si sente estraneo per formazione (lui che ha studiato scienze agrarie) e che sperimenta con la grazia di un autodidatta sapiente. La serie delle Meridiane nasce quasi in sordina, spesso tra le pareti domestiche, a designare un tempo della vita inscindibile da quello del lavoro, una forma di meditazione che matura negli anni, riempiendo gli interstizi, crescendo come corpus per tornare alla luce in occasione della mostra genovese. E trattandosi in quel caso di un dialogo con una collezione museale, che seguiva i precedenti di Museion, del museo Kartell e delle raccolte dei Musei Civici di Mantova, ha visto le stesse opere funzionare, sovrapposte, come sostegno, supporto parietale per disporne altre, di altri autori. Il ritmo, la densità delle carte varia di stanza in stanza, con momenti più rarefatti che vedono le Meridiane in primo piano. Una grande installazione concepita in risposta allo spazio architettonico e da una riflessione sull’allestimento, da cui sembra filtrare la lezione di Franco Albini, presenza importante nella museologia della città ligure e non a caso maestro di Corrado Levi, figura di riferimento nella formazione artistica di Arienti. La mostra a Villa Croce determina credo un momento significativo per il lavoro delle Meridiane, tanto che la selezione delle opere su carta, che comprendeva anche gli esperimenti realizzati con la tecnica dell’affresco, è mantenuta dall’artista come corpus unitario. (Altre Meridiane erano state esposte nel 2018 a Roma in occasione della personale allo Studio Sales).
Tornare a scriverne oggi, a distanza di due anni, permette di mettere a fuoco il ruolo centrale che questo ciclo ha assunto nella ricerca di Arienti. Come nell’apprendimento di una lingua, di una danza o di uno strumento, l’intensificarsi dell’esercizio permette di affinare la padronanza del mezzo: la pratica costruisce un linguaggio sempre più esteso. Ed ecco che i tratti delle Meridiane più recenti si complicano, fino ad assumere andamenti ondulati, a zig zag, o come li definisce Stefano, trilli; ritorni e sdoppiamenti del segno che ripercorrono non solo le linee degli infissi ma intere campiture di luce. Anche i fondi paiono più densi, lavorati e le composizioni, sempre frutto di una risposta immediata e non programmata all’evento luminoso, paragonabile all’improvvisazione della musica jazz, si aprono a variazioni molteplici, seguendo come dice Arienti “un’idea di personalizzazione della materia, nel tentativo di suggerire un approccio più libero alle immagini, che vada oltre l’uso che se ne fa attraverso gli schermi e gli altri dispositivi digitali.”